Usucapione tra fratelli

Succede abbastanza spesso che, dopo la morte dei genitori, i figli ereditino e si ritrovino quindi comproprietari di un appartamento e che magari uno dei fratelli utilizzi e/o occupi più degli altri l’immobile.

Domanda: quand’è che può matura l’usucapione?

La Corte di Cassazione ha risposto qualche giorno fa, con l’ordinanza n.3423/24.

Il passaggio forse più interessante dell’ordinanza è il seguente: “lo stato di fatto derivante dal godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori non è, di per sé, idoneo a farlo ritenere funzionale all’esercizio del possesso ad usucapionem e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell’altro compossessore, risultando necessario, a fini dell’usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla res communis da parte dell’interessato attraverso un’attività durevole, apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui”.

Cosa vuol dire?

Vuol dire che la circostanza che, per anni, uno dei fratelli abbia goduto in via esclusiva dell’immobile non significa necessariamente che egli abbia usucapito il bene; questo perché occorre tener conto e verificare anche quale sia stato l’atteggiamento degli altri comproprietari.

Occorre infatti verificare se questi ultimi abbiano tollerato un maggiore utilizzo dell’immobile da parte del loro parente oppure se essi siano stati del tutto estromessi dal bene, vale a dire se il loro parente abbia tenuto una condotta incompatibile con il possesso degli altri comproprietari.

Questo accertamento è particolarmente delicato ed importante quando i comproprietari siano parenti stretti.

Infatti, se è difficile che un soggetto possa tollerare per lungo tempo il godimento esclusivo da parte di un estraneo, altro discorso vale per i parenti, perché in quest’ultimo caso è più probabile che si abbia un atteggiamento più accondiscendente.

La Cassazione dice giustamente che, “nell’indagine diretta a stabilire […] se un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà […] sia stata compiuta con l’altrui tolleranza e quindi sia inidonea all’acquisto del possesso, la lunga durata dell’attività medesima può integrare un elemento presuntivo, nel senso dell’esclusione di detta situazione di tolleranza, qualora si verta in tema di rapporti non di parentela, ma di mera amicizia o buon vicinato, tenuto conto che nei secondi, di per sé labili e mutevoli, è più difficile il mantenimento di quella tolleranza per un lungo arco di tempo, mentre il rapporto di parentela e, a fortiori, il rapporto di stretta parentela giustificano notoriamente la configurazione di atteggiamenti di accondiscendenza e, quindi, di tolleranza pur al cospetto di forme di godimento esclusivo di lunga durata”.

Pertanto, cercando di arrivare ad una conclusione, si può dire che, nei rapporti tra parenti, per poter maturare l’usucapione, non basta il godimento esclusivo del bene, ma serve qualcosa in più: “ai fini della decorrenza del termine per l’usucapione, è, invece, idoneo soltanto un atto (o un comportamento) il cui compimento, da parte di uno dei comproprietari, realizzi, per un verso, l’impossibilità assoluta per gli altri partecipanti di proseguire un rapporto materiale con il bene e denoti, per altro verso, inequivocamente l’intenzione di possedere il bene in maniera esclusiva, per cui ove possa sussistere un ragionevole dubbio sul significato dell’atto materiale, il termine per l’usucapione non può cominciare a decorrere, ove agli altri partecipanti non sia stata comunicata, anche con modalità non formali, la volontà di possedere in via esclusiva”.

Quindi, soltanto un comportamento che renda inequivocabilmente impossibile per gli altri comproprietari il possesso del bene fa iniziare a decorrere il termine per l’usucapione.

Avv. Mauro Sbaraglia

Foto di Georg Bommeli su Unsplash