Nessun risarcimento se il tumore è provocato dal fumo

Ogni tanto capita di leggere sui giornali notizie, provenienti per lo più dagli USA, di pesanti condanne inflitte alle multinazionali del tabacco per le malattie provocate ai fumatori. A leggere la sentenza n.11272/18 della Corte di Cassazione, pubblicata il 10 maggio scorso, si ha l’impressione che l’orientamento in Italia sia ben diverso.

Il caso esaminato dalla Cassazione riguardava un uomo che, dopo aver contratto un tumore, aveva citato in giudizio la casa produttrice delle sigarette, A.A.M.S., il Ministero delle Finanze ed il Ministero della Salute.

In estrema sintesi, l’uomo sosteneva:

  • di aver contratto una malattia molto grave a causa del fumo;
  • di aver cercato di smettere di fumare e di esserci riuscito solo dopo aver contratto la malattia e solo dopo che il suo medico lo aveva avvertito dei gravissimi rischi che correva;
  • che il produttore delle sigarette aveva utilizzato, senza rivelarlo, sostanze che creavano dipendenza nei fumatori;
  • che i Monopoli di Stato avrebbero dovuto vietare l’importazione di queste sigarette;
  • che il Ministero della Salute non aveva salvaguardato la salute pubblica.

Dopo che sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano rigettato la sua domanda, l’uomo aveva deciso di proporre un ricorso per cassazione. Qualche giorno fa la Corte di Cassazione si è pronunciata, negando anch’essa il risarcimento.

La motivazione di questo ulteriore e ormai definitivo rigetto si fonda su quanto già affermato dalla Corte d’Appello, vale a dire:

  • almeno dagli anni ‘70 costituisce dato di comune esperienza che il fumo sia dannoso e provochi il cancro;
  • in quegli anni, infatti, c’erano state le prime campagne informative;
  • fumare è “un atto di volizione libero, consapevole ed autonomo posto in essere da un soggetto dotato di capacità di agire, il quale sceglie di fumare anche se è a conoscenza del pericolo;
  • non si può sostenere che la nicotina annulli del tutto la capacità di autodeterminazione del fumatore, costringendolo a fumare e privandolo della possibilità di smettere.

In altre parole, secondo la Cassazione tutti siamo consapevoli dei rischi del fumo e se nonostante ciò molte persone continuano a fumare è in ragione di una loro libera scelta e non già perché sono costrette dalle sostanze presenti nel tabacco.

A mio modesto avviso, la sentenza si fonda su una considerazione certamente corretta: tutti quanti sappiamo e siamo ormai perfettamente consapevoli che il fumo fa male e provoca gravi malattie.

Tuttavia, la Corte sembra liquidare in modo un po’ troppo sbrigativo il problema della dipendenza dal fumo.

In primo luogo, perché la dipendenza provocata dalla nicotina è stata rivelata e “pubblicizzata” più recentemente; chi ha iniziato a fumare negli anni ’70 forse non sapeva o quanto meno non era pienamente consapevole che le sigarette creavano dipendenza.

In secondo luogo, perché la nicotina certamente non annulla la capacità di autodeterminazione di un soggetto e quindi la sua capacità di valutare se continuare o smettere di fumare; tuttavia, è indubbio che essa renda assai più difficoltoso l’abbandono delle sigarette.

La tesi della Cassazione sembra dunque equiparare la posizione di un soggetto che decida del tutto liberamente di tenere un comportamento e la posizione di un altro soggetto che invece venga in parte condizionato nelle sue scelte da fattori esterni. E’ giusto metterli sullo stesso piano?

Vedremo se in futuro la giurisprudenza cambierà idea.

Avv. Mauro Sbaraglia